Durante una manifestazione del 25 aprile, pressato dalle insistenti richieste di una donna, il presidente del consiglio dei ministri ha dichiarato di non poter prendere nessun impegno sulle pensioni minime e, si può aggiungere sulle pensioni tout court. Ciò nonostante il pressing di Tito Boeri da una parte e dei sindacati dall’altra e nonostante le aperture, caute, del ministro dell’Economia Padoan. Neppure dalla Ue che deve pensare ancora alla Grecia, vengono segnali negativi. Il problema sta tutta nella mancata ripresa economica italiana. Niente ripresa, niente soldi per le pensioni. E’ tautologico. Però tre o quattro misure al rifusa il governo potrebbe vararle con la legge di stabilità del 2017.
1 – flessibilità in uscita con penalizzazioni.
Dare la possibilità di andare in pensione dai 62/63 anni in poi con un taglio del 2/3% per ogni anno di anticipo. Quindi tre anni di anticipo potrebbe costare un 9%. Decisamente troppo e troppo anche per le casse dello Stato che devono anticipare i soldi.
2. Anticipo sulla pensione da restituire a rate
1 – flessibilità in uscita con penalizzazioni.
Dare la possibilità di andare in pensione dai 62/63 anni in poi con un taglio del 2/3% per ogni anno di anticipo. Quindi tre anni di anticipo potrebbe costare un 9%. Decisamente troppo e troppo anche per le casse dello Stato che devono anticipare i soldi.
2. Anticipo sulla pensione da restituire a rate
Tra le opzioni più accreditate c’è la possibilità di un anticipo di una prestazione ‘light’ (sugli 800 euro) in attesa del pensionamento da restituire a rate sull’assegno previdenziale una volta raggiunti i requisiti. Su questo punto potrebbe intervenire anche un accordo con il sistema creditizio.
SOLUZIONE PER CHI PERDE IL LAVORO POCO PRIMA DEL RITIRO. La soluzione potrebbe essere usata anche solo per le persone che perdono il lavoro a pochi anni dalla pensione come una sorta di mobilità lunga ma pagata dal lavoratore magari con un contributo dell’azienda.
SOLUZIONE PER CHI PERDE IL LAVORO POCO PRIMA DEL RITIRO. La soluzione potrebbe essere usata anche solo per le persone che perdono il lavoro a pochi anni dalla pensione come una sorta di mobilità lunga ma pagata dal lavoratore magari con un contributo dell’azienda.
3. Obbligare a versare parte del Tfr nei fondi complementari
Il trattamento di fine rapporto così come è strutturato in Italia non esiste negli altri Paesi dove invece ci sono forme di indennità di licenziamento che non sono erogate sia in caso di dimissioni sia di licenziamento per colpa del lavoratore.
Il Tfr vale il 6,91% della retribuzione annua del lavoratore dipendente e il versamento nel fondo complementare (adesso scelto da una quota minoritaria dei lavoratori) potrebbe rafforzare in modo significativo il cosiddetto secondo pilastro. Il Governo potrebbe anche valutare il versamento obbligatorio solo di una quota del Tfr o decidere il versamento forzato solo per i nuovi assunti. Non è escluso un semplice rafforzamento dell’automatismo con il silenzio assenso senza comunicazione della possibile scelta. Al momento sindacati e aziende sono contrari.
E’ una strada sbagliata per rilanciare la previdenza complementare.
Il Tfr vale il 6,91% della retribuzione annua del lavoratore dipendente e il versamento nel fondo complementare (adesso scelto da una quota minoritaria dei lavoratori) potrebbe rafforzare in modo significativo il cosiddetto secondo pilastro. Il Governo potrebbe anche valutare il versamento obbligatorio solo di una quota del Tfr o decidere il versamento forzato solo per i nuovi assunti. Non è escluso un semplice rafforzamento dell’automatismo con il silenzio assenso senza comunicazione della possibile scelta. Al momento sindacati e aziende sono contrari.
E’ una strada sbagliata per rilanciare la previdenza complementare.