L’anno prossimo porta alcune novità in termine di pensione. Con riserva di approfondire quando verrrà approvata la finanziaria ecco le novità al momento più significative.
Nel 2018 verrà parificato il requisito anagrafico per accedere al trattamento di vecchiaia Di conseguenza per le lavoratrici autonome, alle quali quest’anno sono richiesti 66 anni e 1 mese, e per le dipendenti del settore privato, a cui bastano 65 anni e 7 mesi, dovranno avere almeno 66 anni e 7 mesi di età.
Si conclude così il percorso avviato anni fa a seguito della sentenza della Corte di giustizia Ue del 13 novembre 2008, con cui erano stati ritenuti illegittimi i requisiti differenziati tra donne e uomini (60 e 65 anni) allora previsti per il pensionamento dei dipendenti pubblici, da cui è poi derivata la decisione del governo italiano di parificare i minimi richiesti ai due sessi. Per le dipendenti della pubblica amministrazione la soglia dei 66 anni e 7 mesi è già stata raggiunta nel 2016.
Inoltre si dovrà avere un anno in più di età per accedere all’assegno sociale, perché si passerà dagli attuali 65 anni e 7 mesi a 66 anni e 7 mesi, come stabilito già nel 2011 dalla riforma previdenziale Monti-Fornero. I requisiti per le altre tipologie di pensione, invece, non cambieranno.
L’anno prossimo l’importo degli assegni aumenterà per effetto dell’inflazione di riferimento provvisoria relativa al 2017 (+1,1%). Ma l’incremento pieno viene riconosciuto alle pensioni di importo fino a 3 volte il minimo. Per i valori superiori l’aliquota di rivalutazione si riduce progressivamente.
Nel 2018 verrà parificato il requisito anagrafico per accedere al trattamento di vecchiaia Di conseguenza per le lavoratrici autonome, alle quali quest’anno sono richiesti 66 anni e 1 mese, e per le dipendenti del settore privato, a cui bastano 65 anni e 7 mesi, dovranno avere almeno 66 anni e 7 mesi di età.
Si conclude così il percorso avviato anni fa a seguito della sentenza della Corte di giustizia Ue del 13 novembre 2008, con cui erano stati ritenuti illegittimi i requisiti differenziati tra donne e uomini (60 e 65 anni) allora previsti per il pensionamento dei dipendenti pubblici, da cui è poi derivata la decisione del governo italiano di parificare i minimi richiesti ai due sessi. Per le dipendenti della pubblica amministrazione la soglia dei 66 anni e 7 mesi è già stata raggiunta nel 2016.
Inoltre si dovrà avere un anno in più di età per accedere all’assegno sociale, perché si passerà dagli attuali 65 anni e 7 mesi a 66 anni e 7 mesi, come stabilito già nel 2011 dalla riforma previdenziale Monti-Fornero. I requisiti per le altre tipologie di pensione, invece, non cambieranno.
L’anno prossimo l’importo degli assegni aumenterà per effetto dell’inflazione di riferimento provvisoria relativa al 2017 (+1,1%). Ma l’incremento pieno viene riconosciuto alle pensioni di importo fino a 3 volte il minimo. Per i valori superiori l’aliquota di rivalutazione si riduce progressivamente.
Il cumulo dei professionisti
Per questi ultimi, nel 2018 dovrebbe diventare operativo il cumulo dei contributi introdotto un anno fa dalla legge di bilancio 2017. Il cumulo consente di sommare i contributi versati in gestioni differenti e così raggiungere più facilmente il diritto alla pensione.
L’attuazione della norma, tuttavia, si è rivelata complicata, soprattutto per la pensione di vecchiaia in quanto, sulla base dell’autonomia loro conferita, le Casse nel corso del tempo hanno fissato requisiti e regole di pensionamento differenziate tra le Casse stesse e nei confronti dell’Inps.
Negli ultimi mesi di quest’anno diversi enti previdenziali hanno varato le nuove regole e inviato le relative delibere ai ministeri vigilanti per ottenere l’approvazione. Una volta sottoscritte le convenzioni con l’Inps, le pensioni in cumulo potranno essere effettivamente erogate. I professionisti potenzialmente interessati a questa opzione sono oltre 400mila.
Per questi ultimi, nel 2018 dovrebbe diventare operativo il cumulo dei contributi introdotto un anno fa dalla legge di bilancio 2017. Il cumulo consente di sommare i contributi versati in gestioni differenti e così raggiungere più facilmente il diritto alla pensione.
L’attuazione della norma, tuttavia, si è rivelata complicata, soprattutto per la pensione di vecchiaia in quanto, sulla base dell’autonomia loro conferita, le Casse nel corso del tempo hanno fissato requisiti e regole di pensionamento differenziate tra le Casse stesse e nei confronti dell’Inps.
Negli ultimi mesi di quest’anno diversi enti previdenziali hanno varato le nuove regole e inviato le relative delibere ai ministeri vigilanti per ottenere l’approvazione. Una volta sottoscritte le convenzioni con l’Inps, le pensioni in cumulo potranno essere effettivamente erogate. I professionisti potenzialmente interessati a questa opzione sono oltre 400mila.
Perequazione della pensione
Dopo due anni di importi invariati, nel 2018 gli assegni previdenziali aumenteranno, seppur di poco. È l’effetto del ritorno dell’inflazione di riferimento, quella a cui sono agganciate le prestazioni previdenziali e assistenziali. Nel 2015 e nel 2016 i prezzi sono rimasti congelati e di conseguenza l’importo delle pensioni non è cambiato. Invece l’inflazione provvisoria del 2017 è +1,1%, e quindi l’anno prossimo scatteranno dei piccoli aumenti. Il trattamento minimo, per esempio, passerà dagli attuali 501,89 euro lordi mensili a 507,41 euro.
Tuttavia, per effetto dell’attuale meccanismo di perequazione, l’adeguamento pieno all’inflazione viene riconosciuto solo agli assegni di importo fino a 3 volte il minimo. Oltre tale soglia l’aliquota scende progressivamente e quindi invece dell’1,1% il ritocco sarà via via più basso fino allo 0,495% (il 45% dell’1,1%) di chi ha una trattamento oltre sei volte il minimo, cioè 3.011,34 euro.
Dato che le pensioni sono pagate per tredici mensilità, nella maggior parte dei casi l’aumento lordo oscillerà tra i 70 e i 270 euro in un anno. Tuttavia i pensionati, oltre che ricevere, dovranno restituire una piccola parte di quanto incassato in più nel 2015. Infatti quell’anno è stato prima riconosciuto un adeguamento all’inflazione provvisoria del 2014 pari a +0,3%; quella definitiva invece è stata dello 0,2 per cento.
Di conseguenza a inizio 2016 sarebbe dovuto scattare il conguaglio negativo. Però dato che l’anno scorso non c’è stata rivalutazione e i pensionati nei fatti avrebbero subito una decurtazione, il recupero è stato rimandato al 2017 e poi al 2018. Si tratta comunque di importi limitati, che probabilmente verranno spalmati su più rate (come già era stato ipotizzato all’inizio del 2017 salvo poi rinviare l’operazione).
Dopo due anni di importi invariati, nel 2018 gli assegni previdenziali aumenteranno, seppur di poco. È l’effetto del ritorno dell’inflazione di riferimento, quella a cui sono agganciate le prestazioni previdenziali e assistenziali. Nel 2015 e nel 2016 i prezzi sono rimasti congelati e di conseguenza l’importo delle pensioni non è cambiato. Invece l’inflazione provvisoria del 2017 è +1,1%, e quindi l’anno prossimo scatteranno dei piccoli aumenti. Il trattamento minimo, per esempio, passerà dagli attuali 501,89 euro lordi mensili a 507,41 euro.
Tuttavia, per effetto dell’attuale meccanismo di perequazione, l’adeguamento pieno all’inflazione viene riconosciuto solo agli assegni di importo fino a 3 volte il minimo. Oltre tale soglia l’aliquota scende progressivamente e quindi invece dell’1,1% il ritocco sarà via via più basso fino allo 0,495% (il 45% dell’1,1%) di chi ha una trattamento oltre sei volte il minimo, cioè 3.011,34 euro.
Dato che le pensioni sono pagate per tredici mensilità, nella maggior parte dei casi l’aumento lordo oscillerà tra i 70 e i 270 euro in un anno. Tuttavia i pensionati, oltre che ricevere, dovranno restituire una piccola parte di quanto incassato in più nel 2015. Infatti quell’anno è stato prima riconosciuto un adeguamento all’inflazione provvisoria del 2014 pari a +0,3%; quella definitiva invece è stata dello 0,2 per cento.
Di conseguenza a inizio 2016 sarebbe dovuto scattare il conguaglio negativo. Però dato che l’anno scorso non c’è stata rivalutazione e i pensionati nei fatti avrebbero subito una decurtazione, il recupero è stato rimandato al 2017 e poi al 2018. Si tratta comunque di importi limitati, che probabilmente verranno spalmati su più rate (come già era stato ipotizzato all’inizio del 2017 salvo poi rinviare l’operazione).
fonte il Sole24ore