E’ in corso una trattativa sindacale per introdurre la formula del “silenzio-assenso” tra le modalità di adesione alla previdenza complementare, ma le forze contrarie al rafforzamento della pensione anche per i pubblici dipendenti, sono ripartite in quarta agitando i vecchi slogan costringendo l’Aran, l’Agenzia che stipula i contratti per i pubblici dipendenti, ad una lunga ed articolata precisazione.
La trattativa riguarda l’adesione al Fondo Perseo-Sirio, il fondo di previdenza complementare negoziale istituito nel 2014 a cui possono aderire i lavoratori delle amministrazioni centrali, delle autonomie locali e degli enti ed aziende della sanità, ed è prevista da una legge dello Stato che ha introdotto nel pubblico, l’adesione ai fondi negoziali di previdenza complementare, mediante la formula del silenzio-assenso, demandando la regolamentazione di tale forma di adesione ad un contratto collettivo. Il negoziato è stato avviato nel mese di marzo – a più di tre anni di distanza dalla emanazione della legge – dopo che il Ministro Brunetta ha trasmesso all’Aran l’atto di indirizzo per l’avvio della trattativa.
La proposta è assolutamente trasparente e prevede che il lavoratore, al momento dell’assunzione, riceva una dettagliata informativa dalla propria amministrazione sull’esistenza del Fondo, sulla possibilità di iscriversi e sul silenzio-assenso. Nei sei mesi successivi, il lavoratore può iscriversi espressamente o dichiarare che non vuole iscriversi (in tale ultimo caso, come è ovvio, non scatta alcun silenzio-assenso). Se non fa né l’una, né l’altra cosa allo scadere dei sei mesi egli è iscritto. A questo punto, riceve una seconda informativa da parte del Fondo, che dovrà informarlo dell’avvenuta iscrizione e ricordargli che, entro un mese, potrà esercitare il diritto di recesso. Solo dopo che è trascorso questo ulteriore periodo, senza che sia stata manifestata alcuna volontà, l’iscrizione si perfeziona.
E’ bene ricordare che l’adesione tacita alla previdenza complementare non è una stranezza che si sta cercando di introdurre, di soppiatto, nel pubblico per fare un favore ad alcuni sindacati (come denunciato dalle forze reazionarie), ma una modalità di adesione che già esiste da molti anni nel “privato” (l’adesione tacita nel privato è prevista in Italia dal d. lgs. n. 252/2005) e in molti altri Paesi europei (sia nel pubblico che nel privato). Ad esempio, nel Regno Unito, l’iscrizione automatica si verifica subito dopo l’assunzione; in Francia, l’adesione alla previdenza complementare è obbligatoria per tutti i dipendenti pubblici.
Non è strano che la legislazione italiana e quella di altri Paesi prevedano forme di adesione di questo tipo, poiché vi è un interesse pubblico allo sviluppo della previdenza complementare, soprattutto di fonte negoziale (il cosiddetto “secondo pilastro”). Aderire alla previdenza complementare permette, infatti, ai lavoratori di aggiungere una pensione che si somma a quella corrisposta dalla previdenza obbligatoria. Questa pensione integrativa è, inoltre, pagata in parte con contributi versati dal datore di lavoro (il contributo dei datori pubblici è pari all’1% della retribuzione). Con l’adesione alla previdenza complementare, i lavoratori potranno, quindi, avere una pensione complessiva non troppo distante dall’ultima retribuzione.
Si ricorda infine che l’accordo in discussione non riguarda tutti i lavoratori, ma solo quelli assunti dopo il 1° gennaio 2019. Si rivolge, dunque, espressamente, ai giovani, cioè la fascia meno tutelata dalla pensione obbligatoria.