La proposta Inps, illustrata durante un’audizione alla Camera, prevede l’uscita anticipata incassando però solo la pensione contributiva maturata a quella data. La misura consentirebbe il pensionamento di 50mila lavoratori in più nel 2022, 66mila nel 2023, 87mila nel 2024 – Il costo stimato è di 453 milioni di euro nel 2022
13 ottobre 2021
Ape contributiva per superare Quota 100, in scadenza a fine anno: la proposta Inps, illustrata durante un’audizione alla Camera dal presidente Pasquale Tridico, prevede l’uscita anticipata a 63 o 64 anni, un dato da adeguare alla speranza di vita, incassando però solo la pensione contributiva maturata a quella data. Per l’assegno completo, con la quota retributiva, bisognerebbe invece aspettare i 67 anni. L’uscita anticipata riguarderebbe chi ha accumulato 20 anni di contributi e ha una quota di pensione di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Un’ipotesi “sostenibile dal punto di vista finanziario”, assicura Tridico. Il costo stimato è di 453 milioni nel 2022 che salirebbero fino a 1,165 miliardi nel 2025 e risparmi che scatterebbero dal 2028: ma si tratta di anticipi di cassa e dunque, di fatto, il costo è zero.
La misura consentirebbe il pensionamento di 50mila lavoratori in più nel 2022, 66mila nel 2023, 87mila nel 2024. Un’altra opzione, ‘Quota 41’, che piace a Lega e sindacati per Tridico costerebbe il prossimo anno 4,33 miliardi per poi crescere negli anni successivi fino a 9,75 miliardi e iniziare una lenta discesa a 9,2 miliardi nel 2031. “Stiamo pensando a una anticipazione, sulla base di ciò che il lavoratore ha creato fino a quel momento attraverso la sua contribuzione, potrebbe essere l’altra gamba di Ape sociale” ha annunciato Tridico, nel corso dell’audizione sulle proposte di legge sull’accesso anticipato alla pensione, depositate in vista della fine di ‘quota 100′. Tridico ha quindi chiarito: “Una prestazione di importo pari alla quota contributiva di pensione che prevede l’anticipazione della sola quota contributiva a 63/64 anni, rilasciando la parte retributiva a 67 anni. Questa proposta consentirebbe una certa flessibilità nell’età di accesso alla pensione, una anticipazione e potremmo definirla una sorta di Ape contributiva”. E, ha assicurato: “E’ un’ipotesi pienamente sostenibile dal punto di vista finanziario, non grava sui conti dello Stato, si potrebbe prevedere un periodo minimo di contribuzione di 20 anni, e aver maturato una quota contributiva di pensione pari a 1,2 volte l’assegno sociale”. Tridico ha aggiunto, continuando nell’illustrazione dell’ipotesi-Inps, che “la prestazione spetterebbe fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, a 67 anni, sarebbe quindi un’anticipazione di prestazione per 3 o 4 anni, secondo come deciderà il legislatore di porre l’asticella dell’accesso”. Per il presidente dell’Istituto si potrebbero, inoltre “prevedere anche meccanismi di staffetta generazionale, anche in relazione a contratti part time”. Mentre la misura risulterebbe “incompatibile” con altri redditi o indennizzi. Tridico ha quindi ribadito il “costo abbastanza contenuto” dell’operazione che “consentirebbe il maggior numero di accesso alla pensione”. Le simulazioni messe a punto dall’Istituto indicano, a partire dal 2022, “circa 50mila il primo anno, 66mila il secondo, 87mila il terzo anno, per un costo nel primo anno pari a 453 milioni, 935 nel secondo, 1.134 nel terzo, ma il costo – ha precisato – è dovuto unicamente all’anticipazione di cassa dei flussi”.
Non ci sta però la Cgil: le previsioni su questa soluzione “sono decisamente sovrastimate”, dice in una nota il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli. Quel calcolo, spiega infatti il responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale Ezio Cigna, ipotizza che tutti gli aventi diritto si avvalgano dell’opzione, “quando l’esperienza concreta ci dice che in questi casi gli utilizzatori sono meno della metà. Inoltre – aggiunge – non si considera che la componente contributiva, ormai prevalente in quasi tutte le posizioni personali, non costituisce una spesa aggiuntiva ma solo un’anticipazione di spesa. Per noi il picco massimo di spesa annua non supererebbe il miliardo e mezzo, e pertanto questo intervento sarebbe sostenibile”. Per la Cisl sarebbe un passo importante ma non sufficiente, perché “è necessario consentire di andare in pensione in modo più flessibile a partire dai 62 anni di età. In ogni caso, consentire a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”. E chiede con la Uil di sterilizzare subito gli effetti negativi della caduta del Pil, perché non basta la tutela dell’accordo del 2015. Il tema è all’attenzione del governo, che nella prossima manovra – attesa in Parlamento entro il 20 ottobre e anticipata dal Dpb da inviare a Bruxelles questo venerdì – dovrà affrontare il tema e trovare una soluzione allo scadere di quota 100. Alle pensioni, peraltro, verrà destinato, a quanto si apprende da fonti di maggioranza, circa un quarto del ‘tesoretto’ da 22 miliardi, quindi poco più di cinque milioni, un capitolo di spesa in cui rientreranno anche l’ampliamento di Ape social – che per Tridico può costare quasi 127 milioni il prossimo anno – e la rivalutazione degli assegni per sterilizzare gli effetti della caduta del Pil.
Fonte: www.rainews.it