L’Inverno demografico impatterà negativamente sulle pensioni

Questa è una buona notizia per il paese, meno popolazione significa meno consumo delle risorse di madre Terra, meno inquinamento, non serviranno più allevamenti intensivi come quelli altamente inquinanti dei bovini, per esempio, sfruttamento parossistico del suolo ai fini agricoli, prodotti ogm eccetera. Altro che accordi sul clima di Parigi, implementazione dei fattori ESG, buco nell’ozono ecc. Risultati assicurati contro il climate change!

Ma se dal punto di vista dell’interesse “primario” abbiamo tutti da guadagnare, su quello “secondario”, cioè economico, molti hanno da perdere.

L’inverno demografico è un termine usato per descrivere una situazione in cui un paese o una regione sperimenta un declino nella natalità e un aumento dell’età media della popolazione. Questo fenomeno porta a una popolazione che invecchia più rapidamente di quanto non si rinnovi attraverso le nascite, con potenziali impatti negativi sull’economia e sui sistemi di welfare.

L’assemblea dell’Associazione dei fondi pensione negoziali, che si è tenuta il 23 aprile 2024 a Roma, ha citato le  sfide che coinvolgono la previdenza complementare, oltre alla ovvia segnalazione del non perfetto  funzionamento della macchina politica, istituzionale e lo scarso appeal della pensione di scorta, ha fatto presente l’incombete pericolo legato alla crisi demografica italiana.  Per chi si proietta su orizzonti temporali lunghi e lunghissimi, come le assicurazioni ed i fondi pensioni e le Casse di Previdenza, tutti i soggetti del risparmio gestito non possono ignorare le tendenze demografiche.

Ogni anno la forbice è negativa per 120 mila persone. “L’Italia è il Paese al mondo in cui l’inverno demografico è più accentuato. Il centro italiano di statistica ha lanciato l’allarme indicando che il numero di persone di età superiore ai 65 anni ha superato quello di persone di età inferiore ai 25 anni”. In prospettiva, afferma Maggi, il presidente di Assofondipensione, “il Paese dovrà stanziare più risorse per sostenere gli anziani e avrà meno risorse per la produttività, mentre diminuisce la componente demografica che crea ricchezza”.

In Italia, l’inverno demografico è particolarmente preoccupante. Le nascite sono diminuite significativamente e il tasso di fecondità totale (TFT) è sceso al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli per donna. Nel 2023, il TFT in Italia era di solo 1,20 figli per donna, con variazioni regionali. Questo declino demografico è accompagnato da un saldo naturale negativo, ovvero il numero di morti supera quello delle nascite, e metà delle donne in età fertile non ha figli.

Addirittura qualcuno, come il Forum Ambrosetti di Cernobbio ‒ ha pronosticato come  la popolazione italiana potrebbe estinguersi entro il 2307. Non solo: verrebbe sopraffatta già molti decenni prima dalla crisi demografica, a causa dei contraccolpi su economia e società. A supporto ci sono i dati diffusi dall’Istat nell’ottobre 2023: il numero di nascite in Italia è sceso dalle 530.000 del 2008 alle 393.000 del 2022; facendo una proiezione, la tendenza alla decrescita è confermata nel 2023, con una diminuzione della natalità dell’1,7% rispetto al 2022: questa percentuale significa circa 3.500 nascite in meno nei primi sei mesi dell’anno scorso.

Le conseguenze della denatalità sull’economia includono:

Riduzione della domanda interna: Una popolazione in calo significa meno consumatori, il che può portare a una diminuzione della domanda di beni e servizi.

Impatto sulle imprese: Le aziende possono subire una perdita di efficienza a causa delle economie di scala ridotte e una diminuzione della profittabilità.

Offerta di lavoro: Con meno persone e una popolazione più anziana, ci sono costi del lavoro maggiori e un minor tasso di innovazione.

Valore degli immobili: La ricchezza netta delle famiglie italiane è fortemente legata agli investimenti immobiliari, ma con meno persone interessate ad abitare o utilizzare le case, il valore degli immobili potrebbe scendere. Le città sarebbero diversificate. Un po’ come è avvenuto successivamente dopo la caduta dell’impero romano che fu accompagnata da una forte crisi demografica. Ma poi pian piano le cose ripartirono.

Per quanto riguarda la previdenza è ovvio che i problemi sono più immediati e cogenti. Il finanziamento delle pensioni anche sé vien detto a “sistema contributivo” è un sistema nozionistico, nel senso che non c’è un salvadanaio individuale per ogni singolo lavoratore. Contabilmente si sa quanti contributi ha versato, il cosiddetto montante contributivo, ma i suoi contributi confluiscono in una cassa generale da cui si prelevano i soldi per pagare le pensioni secondo il cosiddetto sistema a ripartizione.

Viceversa nella previdenza complementare ogni singolo lavoratore ha il suo salvadanaio che sarà l’unica ancora di salvezza in un mondo in cui il welfare ridurrà necessariamente la sua area di prestazioni universali e a basso costo.

Bisogna già da subito pensare alla creazione di un fondo di stabilizzazione monetario-finanziario pensionistico, sulla scorta di quanto si sta facendo in Germania. Il governo tedesco infatti pensa di salvare le pensioni ricorrendo al mercato dei capitali. All’inizio di gennaio il ministro delle Finanze tedesco ha presentato un progetto che prevede investimenti di almeno dieci miliardi all’anno sul mercato finanziario internazionale per i prossimi quindici anni, al fine di realizzare un fondo con cui assicurare la stabilità delle pensioni. Si tratta in sostanza di passare dal modello puramente sociale basato sui contributi ad un modello che lega l’importo delle pensione ai mutamenti e ai rendimenti dei mercati finanziari attraverso la costituzione di un fondo il “Generationenkapital” finanziato con denaro pubblico e contributi dei fondi..