Mantenere l’adeguatezza delle pensioni è sempre più difficile per mancanza di risorse: Ma prima o poi si dovrà affrontare risolutivamente la questione.
Per adeguatezza delle pensioni si intende la capacità di mante3nere almeno lo stesso tenore di vita goduto durante la vita lavorativa. Ma ormai l’esperienza pluriennale e i ricorrenti tagli alla perequazione automatica delle pensioni al costo della vita hanno fortemente ridimensionato questo principio.
Anteriormente al 1992 le pensioni in essere erano salvaguardate con tre metodi che agivano congiuntamente:
– periodiche rivalutazione delle pensioni d’annata, riguardante principalmente i dipendenti statali che contrariamente a quelli degli enti locali all’epoca non avevano un proprio fondo pensioni;
– la rivalutazione trimestrale delle pensioni per adeguarle all’inflazione che aveva toccato punte anche del 19%;
– rivalutazione delle pensioni in parallelo con la dinamica salariale connessa ai rinnovi contrattuali.
Anche quest’anno per ragioni di contenimento della spesa pubblica e nonostante alcune flebili smentite, si riduce il meccanismo di rivalutazione delle pensioni in base al reddito percepito.
Anche una volta viene colpito quel blocco di pensionati compresi nella fascia fra i 30.000/40.000€.
Cioè quella fascia ritenuta statisticamente “benestante” e che ha pagato tutti i contributi pensionistici e l’intera Irpef in quanto come lavoratori dipendenti non possono evadere. Con una punta di egoismo, ma si tratta di ricerca di equità, nel volgere di un decennio essi saranno prossimi ad essere raggiunti da coloro che hanno versato pochi contributi e per la maggior parte niente Irpef perché il loro reddito prodotto cade nella fascia esente.
Né vale, per evitare il taglio delle perequazioni invocare i soliti rimedi, come lotta agli sprechi, adeguamento delle spesa della difesa, destinata a raggiungere per impegni internazionali, il 2% del PIL, la lotta all’evasione ecc.
Sulla previdenza, legata al vecchio schema assicurativo, delle tavole di mortalità e l’ampiezza del mercato del lavoro, le decontribuzioni con oneri a carico dello Stato, con le proiezioni demografiche negative, il meccanismo del patto intergenerazionale è destinato a sfaldarsi e mantenere il sistema perequativo in quanto tale diventerà sempre più faticoso.
Il primo elemento a saltare sarà l’adeguatezza delle prossime pensioni, sia al momento del pensionamento che negli anni successivi.
Di fronte al problema dell’adeguatezza delle future pensioni, in Germania era stato varato un progetto con il quale il governo tedesco pensa di salvare le pensioni ricorrendo al mercato dei capitali.
Il sistema pensionistico tedesco, come quelli di altri paesi, è infatti in difficoltà per ragioni demografiche. Un numero crescente di pensioni si appoggia su una cerchia sempre più ridotta di contribuenti. Già adesso lo Stato tedesco deve integrare i fondi esistenti con forti esborsi erariali. Nel 2022 oltre 100 miliardi, pari ad oltre il 30% delle pensioni erogate. La tendenza è in crescita e si stima che dal 2027 lo Stato germanico dovrà sopperire con almeno 128 miliardi all’anno.
Il progetto presentato prevede investimenti di almeno dieci miliardi all’anno sul mercato finanziario internazionale per i prossimi quindici anni, al fine di realizzare un fondo con cui assicurare la stabilità delle pensioni. Si tratta in sostanza di passare dal modello puramente sociale basato sui contributi ad un modello misto che lega l’importo della pensione ai contributi e ai rendimenti dei mercati finanziari.
Secondo il governo tedesco solo così si potrà mantenere l’impegno di non abbattere le pensioni e di non alzare l’età pensionabile.
In Italia il tabù, cioè dell’affidamento delle pensioni anche ai capitali finanziari, già è stato rotto nel 1992 con l’introduzione della previdenza complementare.
Si tratta di compiere il passo successivo come quello compiuto dal il governo tedesco lo ha compiuto
Ai due pilastri esistenti, pensione obbligatoria e quella complementare, si aggiungerebbe così un terzo fondo perequativo. Nel bilancio tedesco per il 2023 sono previsti crediti per dieci miliardi per creare il capitale di base che si accumulerà per legge fino ad almeno il 2037 ed eventualmente oltre. Verso la fine degli anni 2030 sarebbe così data stabilità ad un sistema altrimenti destinato al collasso.
In Italia i contributi per la costituzione di un fondo simile dovrebbero venire per un 50% dalla fiscalità generale e per il rimanente da imprese e lavoratori, utilizzando al meglio l’esproprio del 25% del Tfr che si vuole introdurre da quest’anno e mettere qualcosa a carico dei lavoratori autonomi che non godono di Tfr.
Deputato ad investire le risorse del fondo sarebbe un Ente esterno all’Inps come hanno ipotizzato i tedeschi istituendo la “Generationenkapital”, che dovrà seguire criteri di sostenibilità in un’ottica di rendimento di lungo termine.
Partendo dalle stesse premesse della Germania ed aggiungendo che ad oggi in Italia la previdenza complementare non è decollata come si ipotizzava, né si conosce l’esatta destinazione del Tfr che affluisce all’Inps si può ragionevolmente chiedere la creazione di un analogo fondo perequativo per i lavoratori come un’ulteriore gestione separata ( da non confondere con quella esistente).