Legge di Bilancio per il 2025, ha introdotto la possibilità di versare per i lavoratori assunti per la prima volta dal primo gennaio 2025, contributivi aggiuntivi fino a un massimo del 2% per incrementare il montante contributivo finale. Conviene fare versamenti aggiuntivi all’Inps per i neo-assunti o è meglio versare al fondo pensioni?
La legge 207 del 30 dicembre 2024 prevede che gli iscritti all’Inps compresi quelli iscritti alla Gestione Separata, che cominciano a lavorare per la prima volta dal 1 gennaio 2025, possono aumentare volontariamente il proprio montante contributivo INPS versando una quota aggiuntiva non superiore al 2% rispetto a quanto. La quota Inps a carico del lavoratore è di norma pari al 9,19%, adesso si può versare fino all’11,19%, mentre rimane invariata la quota dell’azienda.
Per conoscere le modalità concrete, sarà necessario attendere un decreto che al momento, tuttavia, non sono ancora stati pubblicati.
Ovviamente l’obiettivo del contributo aggiuntivo è quello di far ottenere una pensione maggiore, alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. Di conseguenza, il lavoratore che andasse in pensione anticipatamente dovrebbe attendere la maturazione dei requisiti d’età per la pensione di vecchiaia per il pagamento della “quota aggiuntiva” di pensione, atteso che la legge precisa che la quota integrativa non può essere utilizzata per raggiungere l’importo necessario ad andare in pensione anticipatamente in contrasto con una disposizione prevista dalla stessa legge che invece lo consente.

La legge ha riconosciuto a tali importi una deducibilità pari al 50% sul totale versato.
Valutare a inizio carriera lavorativa quale sia l’impatto dei versamenti aggiuntivi sul montante finale e, quindi sulla rata di pensione, non è semplice tenuto conto delle molteplici variabili in gioco (età al pensionamento, evoluzione reddituale del lavoratore, rivalutazione del montante).
A lume di naso facendo un raffronto fra la previdenza complementare e questa nuova possibilità, conviene la previdenza complementare. Questo a rigor di logica. Ma poiché non sempre la logica ispira i nostri comportamenti ( anzi pochissime volte ciò avviene) il legislatore ha scelto una strada più tranquilla e di facile comprensione per tutti per dare qualcosa in più sulle future pensioni senza gravare sulle finanze pubbliche.
Secondo quanto riportato da Itinerari Previdenziali, l’analisi di alcuni fattori potrebbe però orientare consapevolmente la decisione di un giovane che oggi inizi il proprio percorso lavorativo: le modalità di ritiro delle somme versate, il regime fiscale sulle contribuzioni e la rivalutazione del montante versato. Appurato che i nuovi contributi aggiuntivi INPS non concorrono ad anticipare l’accesso alla pensione e potranno essere richiesti all’accesso alla pensione di vecchiaia, i cui requisiti sono difficilmente stimabili nel lungo periodo essendo vincolati a una serie di fattori, tra cui l’aspettativa di vita dopo il pensionamento, vale la pena ricordare che la previdenza complementare, mediante l’istituto degli anticipi e dei riscatti, consente all’iscritto di utilizzare anche anticipatamente le somme accantonate e di poter modulare la prestazione pensionistica finale tra erogazione in forma di rendita e di capitale. Paradossalmente la stessa legge di bilancio mentre sembra voler dare un colpo alla previdenza complementare, le restituisce un ruolo fondamentale per i pensionamenti anticipati. Infatti l’Art. 1, dai commi 181 a 185 dà la possibilità di andare in pensione anticipatamente se si è iscritti alla previdenza complementare.
Inoltre non è chiaro come saranno rivalutati i contributi aggiuntivi, se allo stesso modo dei contributi ordinari, cioè relativi alla media quinquennale del Pil oppure si costituirà un fondo apposito per affidarli al mercato. In questo caso, in nuce ( dal lat. “in embrione”) si mettono le fondamenta per quel fondo complementare inps voluto dall’ex presidente Tridico e che non trova contrario l’attuale, Fava.
A parità di versamento, poi, sotto il profilo fiscale, la previdenza complementare sembra offrire qualche spazio in più: se infatti i nuovi contributi aggiuntivi sono limitati nell’ammontare (non più del 2% di quanto ordinariamente versato) e nella deducibilità (solo il 50% del versato), i versamenti ai fondi pensione possono essere dedotti al 100% entro il massimale di 5.164,57 euro (TFR escluso). Anche in fase di erogazione, la pensione integrativa è fiscalmente più interessante in quanto la prestazione finale è soggetta a tassazione separata pari al 15%, percentuale che si riduce di uno 0,3% per ogni anno di iscrizione successivo al quindicesimo. Diversamente, il trattamento pensionistico INPS è soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF): al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili, si applicano le aliquote per scaglioni.
Il ragionamento alla base del contributo aggiuntivo parte dalla presa d’atto del rifiuto psicologico dei lavoratori/lavoratrici ad iscriversi alla previdenza complementare in considerazione che ad oggi solo 1 lavoratore su 3 è iscritto (poco più di 9,5 milioni di italiani, di cui meno del 20% appartenente alla fascia d’età sotto i 34 anni) e, se lo fa, predilige investimenti dal basso profilo di rischio (obbligazionari, garantiti) e, conseguentemente, con rendimenti più limitati, con il rischio di non avere una buona integrazione pensionistica. Anche qui è chiaro che chi si iscrive punta sugli sgravi fiscali, il contributo aziendale ed un Tfr rivalutato meglio. Infatti non si punta alla rendita, ma alla restituzione del capitale.