L’Analisi dell’Osservatorio Previdenza della Cgil e della Fondazione Di Vittorio, in cui si prendono a riferimento diversi casi, tutti ‘misti’, cioè con un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni di contribuzione al 31.12.1995 evidenzia come il ricalcolo contributivo della pensione, ipotesi presa a riferimento da commentatori o esperti nel dibattito in corso sulla riforma previdenziale, produrrebbe un taglio importante e iniquo, che potrebbe arrivare a superare il 30% dell’assegno lordo.
Ad esempio, per una retribuzione di 20 mila euro lorde e con 30 anni di contribuzione complessiva, con una carriera lineare e 15 anni di contribuzione al 31.12.1995, la pensione lorda mensile passerebbe da 870 euro con il sistema misto a 674 euro con il ricalcolo contributivo, un taglio pari al 22,6%. Una differenza che in questo caso per un soggetto che anticipa a 64 anni l’uscita con il ricalcolo contributivo peserebbe per 19.344 euro di pensione in meno nell’intero periodo di pensionamento. Il metodo di ricalcolo non è equo e determinerebbe un vantaggio per lo Stato, imponendo un onere irragionevole al lavoratore nel caso di anticipo della pensione, come oggi già avviene con Opzione Donna.
Secondo le simulazioni effettuate non cambia molto se si prende a riferimento un reddito superiore a 30.000 euro lorde alla cessazione, con 38 anni di contribuzione. La pensione lorda da 1.605 euro passerebbe a 1.376 euro, una differenza di 229 euro, pari al 14,2% sul totale della pensione, con un’incidenza pari al 32,7% sulla quota retributiva.
Sarebbe importante realizzare un sistema previdenziale più flessibile che consenta alle persone di accedere in anticipo alla pensione rispetto ai 67 anni attualmente previsti, ma senza imporre condizioni vessatorie.