Rilanciare il tasso di sostituzione minimo (al 60%?)

Secondo ESGdata.it, il sistema di previdenza sociale in Italia è la prima componente della spesa pubblica (58,6% del totale nel 2023), con un ruolo predominante per la spesa per le pensioni. Quest’ultima ha registrato una crescita annua del +2,4% negli ultimi dieci anni e rappresenta ora il 75% del totale. In Italia, sempre secondo Esgdata che non specifica la fonte, il reddito degli over 65 è molto più elevato.

Tuttavia, l’uso dei regimi di pensione complementare rimane limitato. I fondi negoziati sono la prima forma di pensione sia per numero di depositi esistenti, con un totale di 4 milioni di iscritti (+5,5% rispetto al 2022. In Italia, ci sono alcuni problemi aperti per quanto riguarda il rafforzamento dei fondi pensione sia nel settore pubblico che privato.  Smentendo uno dei luoghi comuni, l’Italia si collocherebbe al secondo posto tra i paesi europei e al quarto posto tra i paesi OCSE per il livello di alfabetizzazione finanziaria ma solo uno su quattro italiani conosce il rischio di longevità.  Un aiuto previdenziale può venire dal ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro italiano che sarà  destinato a crescere nei prossimi anni. L’approccio riformista richiede una corretta lettura della migrazione. Circa due terzi degli immigrati occupati, che risiedono legalmente in Italia, lavorano in settori con tassi di sottoccupazione ben superiori alla media nazionale. La partecipazione degli immigrati disoccupati alle misure di sostegno al reddito per motivi di mancanza di lavoro è in linea con i livelli di partecipazione al mercato del lavoro. In tutti i paesi sviluppati, la necessità di importare lavoratori qualificati o da formare è in aumento per colmare il disallineamento tra offerta e domanda di manodopera. Il contributo delle politiche migratorie può essere positivo se è accompagnato da un migliore utilizzo delle risorse già disponibili nel territorio, a cominciare dai lavoratori immigrati già residenti.

Si pensa che in autunno il CNEL presenterà una propria proposta di riforma del sistema pensionistico italiano, partendo dal presupposto che nonostante l’andata a regime del sistema contributivo, la sola componente delle pensioni pubbliche non sarà in grado di sostenere l’attuale tasso di sostituzione, cioè il rapporto fra ultimo stipendio e prima rata di pensione. Le tendenze macroeconomiche e sociali in corso rendono essenziale aumentare il contributo della pensione complementare. A tal proposito forse è utile ricordare una previsione del “Protocollo sulle pensioni del 23 luglio 2007” Governo sindacati che  è stato un importante accordo in Italia, di cui alcune parti programmatiche si sono perse nel porto delle  nebbie anche se alcune norme  di attuazione di questo protocollo sono state recepite con la legge n. 247 del 24 dicembre 2007, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 29 dicembre 2007. Il protocollo prevedeva l’istituzione di una  Commissione di esperti di nomina governativa e delle parti sociali ( l’ennesima) per verificare “meccanismi di solidarietà” per portare a tassi di sostituzione pensione/retribuzione ad un livello non inferiore al 60% !)