Riforma pensioni: un attacco al principio della volontarietà della previdenza complementare

Passato Ferragosto, ricomincia, da sotto gli ombrelloni, la sarabanda sulle pensioni con le solite proposte schioppettanti ed accattivanti. Ma mai come questa volta sembra che non ci siano risorse sufficienti. Le risorse non ci sono mai state, questo è vero, ma finora si è potuto largheggiare perché, la possibilità di scaricare sul futuro i costi attuali, dall’altro l’affievolimento dei rigori europei per via della pandemia e in ultimo la fiducia tutta nostrana che  qualche cosa di miracoloso potesse accadere, ha aiutato i vari governi, di sinistra, destra e tecnici,.

Lo scenario è cambiato, la Comunità Europea ha ristretto i freni sulla spesa pubblica specie per quei paesi che non hanno votato il nuovo presidente ( o la “presidenta” come preferite) della “Repubblica Europea” ed in più, come se non bastasse, c’è da aumentare la spesa del PIL per quanto riguarda le armi. Come a dire, più armi e meno pensioni! Non è populismo ma matematica elementare: più si spende da una parte, meno si può spendere da qualche altra parte. Se si vogliono far quadrare i conti e, pare che la UE quest’anno lo voglia fortissimamente.

Stando ai si dice, anche nel 2025 dovrebbe proseguire l’Ape sociale, la misura che dà la possibilità di avere un anticipo pensionistico, una volta raggiunti i 63 anni e cinque mesi di età, ai lavoratori che si trovano in una situazione di svantaggio: disoccupati, care giver ( le badanti), persone con invalidità almeno del 74% e con almeno 30 anni di contributi, o impiegati in attività usuranti con almeno 36 anni di contributi.

Conferma in vista anche per Opzione donna, nonostante nel primo trimestre del 2024 si sia registrato un crollo delle richieste accolte: 1.700 domande, contro le oltre 5.300 dello stesso periodo del 2023. C’à da tenere in conto poi che dopo la stretta sui requisiti dello scorso anno (anche qui, come per l’Ape, contano le situazioni di disagio), nel 2024 è arrivato un giro di vite sull’età che ha portato la possibilità di uscita – a fronte di 35 anni di contributi – a 61 anni. È possibile però ridurla di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni

C’è poi Quota 41, richiesta “irrinunciabile” della Lega anche al costo di poter far andare in pensione anticipata, indipendentemente dall’età,  calcolando la pensione unicamente con il sistema contributivo con una possibile perdita del 30% circa. C’è però anche chi sottolinea come questa opzione, pur essendo finanziariamente sostenibile nel lungo termine, causerebbe qualche problema nel breve, perché le pensioni andrebbero pagate subito. C’è da ricordare che già oggi c’è la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne, senza il passaggio delle forche caudine al sistema contributivo obbligatorio.

Quanto a  Quota 103 ci può essere una riconferma anche se le adesioni con il ricalcolo contributivo sono poche. Conferma della pensione contributiva a 64 anni con almeno 20 di contributi se si raggiunge  il livello minimo a 3 volte l’assegno sociale.

Per ridurre i pensionamenti,  si sta discutendo sulla possibile introduzione di incentivi per chi resta nel mondo del lavoro, una sorta di riedizione del vecchio bonus Maroni. Gli interessati sarebbero coloro che smetteranno di lavorare soltanto una volta maturato il diritto al trattamento di pensione ordinaria (67 anni anagrafici e almeno 20 anni di contributi versati), senza invece aderire a Quota 103, pur avendone i requisiti.

Infine, dulcis in fundo (nel senso : ora viene il bello!) o in cauda venenum ( il veleno sta alla fine , riferito allo scorpione che ha il veleno nella coda, scegliete voi),  la bella pensata di dirottare obbligatoriamente almeno il 25% del Tfr nei fondi pensione. Non si capisce bene la proposta. Pare  che questa sia  l’idea del  sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (Lega), in modo da aumentare l’assegno futuro. Ci dovrebbe essere una sorta di cumulo dei contributi versati nella previdenza obbligatoria e nella complementare ( mischiare la lana con la seta!) per l’uscita anticipata di tre anni rispetto all’età di vecchiaia per chi si trova nel sistema contributivo.

Inoltre sempre per il rilancio della complementare  senza o con l’obbligo del 25% del Tfr, ci dovrebbe essere un nuovo semestre di silenzio-assenso  di cui ha parlato la ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, al Meeting di Rimini, contando su un appoggio implicito, tutto da verificare, dei sindacati confederali.

l’idea di fondo della ministra del lavoro è quella di far scattare un nuovo periodo di 6 mesi in cui i lavoratori (che già avevano scelto di lasciate la liquidazione in azienda) devono decidere nuovamente se no si ritrovano iscritti forzatamente alla previdenza complementare che è una scelta irreversibile per legge. 

E’ utile ricordare che la normativa vigente dice che l’adesione alla previdenza di primo pilastro ( Inps) è obbligatoria, mentre al secondo pilastro ( Fondi pensione) è volontaria. Tant’è vero che già qualcuno comincia a dire che si tratterebbe in ogni caso di una scelta volontaria. Un giorno è volontaria ed un altro giorno obbligatoria. Ci vuole chiarezza a cominciare dal fatto che il Tfr non è un contributo previdenziale ma un salario differito che il datore di lavoro o l’Inps trattiene dalla busta paga e che restituisce agli interessati al termine del rapporto di lavoro.  Per chi ha lavori intermittenti il Tfr riscosso ha una funzione di welfare sostitutiva di quello pubblico perché aiuta a vivere finché non si instaura un altro rapporto di lavoro.

Staremo a vedere avendo gli occhi ben aperti.